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176 ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO

le altre. Bernardo Davanzati fiorentino non era uomo di pensieri repubblicani, come fu creduto da alcuno. Un repubblicano non avrebbe scritto che Firenze si accrebbe di gloria e di bellezza per le corone, gli scettri e gli ornamenti reali portativi entro dal Granduca Cosimo I eroe degnissimo, grande e molto amato Signore che merita lode divina per avere aggiustato principato, bene di tutti gli umani il più desiderabile, il più santo e glorioso. Il Davanzati scrisse anche di peggio: del Tiberio toscano disse che fu scelto al trono dal benigno volere del grande Iddio benedetto, perchè piaceva al suo cuore: lo paragonò a Cincinnato, ne lodò il dolce e piacevole impero, la magnanimità, la moderazione e la giustizia, e ne pianse la morte come perdita di grande bene. Queste erano impudenti menzogne; e chi ha letto le storie sa che cosa fossero il dolce e piacevole impero, la magnanimità e la giustizia di Cosimo. Ma quantunque Messer Bernardo si lasciasse andare a queste bruttezze egli avea animo capace a intendere e sentire gli scritti di Tacito, e possedeva grande ricchezza di parole brevi e argute per rappresentarne maravigliosamente il concetto. Quindi la sua traduzione sebbene in qualche luogo pecchi di oscurità, e si accusi di troppi fiorentinismi e di modi triviali non convenevoli all’altezza delle storie romane, è la traduzione che meglio di ogni altra abbia fatto ritratto in italiano del potente stile di Tacito. Egli in tre lettere discorse le ragioni che lo mossero a questo lavoro, e che lo indussero a usare i modi della lingua parlata come più adatti a esprimer breve, vivo e chiaro il concetto. «Conoscendo che il parlar breve stringe più e conclude meglio; innamorato perciò della brevità di Tacito, intraprese a metter la lingua fiorentina a correre a prova con la latina e con la francese al dono della