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ATTO VANNUCCI - DISCORSO SU TACITO |
se, per giudizio degli stessi Francesi non ne fu compreso colà il genio sublime. Fatte poche eccezioni, lo storico fu quasi obliato anche dagli scrittori dei tempi di Luigi XIV. E ciò s’intende benissimo. Allora tutto sentiva odore di corte: si adoravano le debolezze, le turpitudini, i vizi tutti del principe, e niuno pensava alla libertà romana, nè agli ammaestramenti che potevano ritrarsi dalle severe storie che descrissero le atrocità e le infamie dei principi antichi. Ma al comparire del secolo XVIII gli spiriti si rivolsero a meditazioni più gravi e più libere, e allora venne, il tempo di Tacito. I filosofi che miravano a distruggere gli errori della barbarie e le immanità della tirannide, e a fare rinascere il regno della verità, della libertà e della giustizia, si volsero con affetto a Tacito come a un amico grande dell’umanità, come a pensatore profondo, come a scrittore liberissimo, e come a sovrano maestro pel vigore e per la concisione dello stile. Nelle memorie del passato trovavano l’imagine del presente, e Tacito insegnava loro a vituperare energicamente i nuovi disordini: quindi lo traducevano, lo commentavano, lo messero in moda, lo fecero leggere e studiare di preferenza ad ogni altro scrittore. Quando poi scoppiò la grande rivoluzione preparata da essi, lo storico fu compreso anche meglio. Lo spettacolo di un popolo che dopo tanta servitù si rialzava per riconquistare l’egualità, l’indipendenza, il regno delle leggi e la sovranità nazionale era un commento eloquentissimo ai concetti di Tacito. I fatti della rivoluzione presente facevano intendere quelli delle rivoluzioni antiche, e con esse il genio dello storico che le narrò meglio di ogni altro. Egli somministrò in abbondanza i forti e i neri colori per dipingere la faccia ai nuovi tiranni. E in quei giorni, in cui