Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/104

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LIBRO SECONDO 97

plebe fiorini sette e mezzo per testa; e sè e lui elesse consoli. Non perciò diede ad intender di voler bene al giovane; ma trovò, o seppe prender via da poterlo smaltire sotto specie d’onore. Godeva già cinquanta anni la Cappadocia il re Archelao, odiato da Tiberio perchè in Rodi non lo onorò; non per superbia, ma per essere avvertito da intimi d’Augusto, che vivendo C. Cesare, e governando l’Oriente, la pratica di Tiberio non parea sicura1. Stirpati i Cesari, e fatto imperadore, fece dalla madre scriver ad Archelao, che sapeva i disgusti di suo figliuolo, e gli offeriva perdono se ei venisse a supplicare. Il buon uomo2, che lo inganno non intendeva, o scoprendosi d’intenderlo, forza aspettava, corse a Roma; ove dal crudo principe male accolto, è tosto querelato in senato, non per le apposte cagioni, ma per la vecchiaia, per l’angoscia, e perchè a’ re non par giuoco patire le cose giuste, non che gli smacchi3, fornì per volontà o natura, la vita sua. Il

  1. Nel fine del quinto si dice che Caio urtava Tiberio.
  2. Ben fusti arcolaio aggirato. Dione dice che Tiberio lo voleva dicollare, benché decrepito, gottoso e basoso. Ma udendo che egli avea detto: Se io torno nel mio regno, io mostrerò a Tiberio il mio nerbo: il riso spense l’ira. Altri dice che Archelao per aver detto questa scempiezza si morì di dolore. Tacito la conta più gravemente.
  3. I grandi non vogliono essere spacciati per l’ordinario. A Scipione non parve dovere comparire a difendersi. Sempronio Gracco, nimico suo, disse: „Gl’Iddìi e gli uomini l’hanno fatto sì glorioso, che il metterlo come gli altri sotto la ringhiera a sentirsi leggere in capo l'accuse, e malmenare e sfiorire, era vergogna del popol romano.„ Livio 48, Appiano nella Siriaca. Similmente, Lucio suo fratello tornato d’A-