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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/132

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LIBRO SECONDO 125

avesse procurato il gastigo legittimo alla rea moglie1 e pubblica: e gavillando, non esser passati li sessanta giorni dati a risolversi, parve bastare (tal fusse di lui) giudicar lei: e fu racchiusa in Scrifo isola. Trattossi di cacciar via le religioni degli Egizj e dei Giudei; e decretarono i Padri, che quattromila liberti di tali sette, di buona età, si portassero in Sardigna a spegner ladri: e morendo in quell’aria pessima, poco danno; gli altri tra tanti di avessero rinegato o sgomberato d’Italia.

LXXXVI. Cesare ricordò doversi eleggere una Vergine nel luogo d’Occia, stata cinquanzette anni con somma santità reggitrice de’ sacri ordini di Vesta. Fonteo Agrippa, e Domizio Pollione offersero le figliuole, e furono del gareggiare per la repubblica da Cesare ringraziati. La Polliona piacque più; perciò solamente che la madre ancor si vivea col primo marito, e Agrippa avea per discordie menomata la casa sua. Ma Cesare consolò l’altra con venticinquemila fiorini di dote.

LXXXVII. Lamentandosi la plebe del troppo caro, pose al grano il pregio; e donò venzoldi dello staio2

  1. Quando il marito non pensava al gastigare la moglie disonesta, vi metteva mano il magistrato.
  2. Era quel modio la nostra mina, o vuoi dire mezzo staio: il sesterzio un quarto di denario, il denario un decimo di dramma d’oro fine; una dramma il nostro fiorino, che vale oggi dieci lire. Tiberio adunque donò due sesterzi per modio, che son quattro per istaio, che sono un denario, che è un decimo di fiorino, che è una lira, o vuoi dire venzoldi piccioli. Vedi la postilla del primo libro, §. VIII. Leggi nel Villani le belle ordinanze e grosse perdite che fece il nostro comune, per pietà del nostro popolo e dell’altrui, nelle care-