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132 DEGLI ANNALI

mani illustri per la repubblica morti, ma niuno stato celebrato con tanto ardore, onorevole a sé e a tutti pur che si moderi; non convenendo a’principi, e popolo imperiante, le cose medesime1 che alle case e picciole città. Essersi dovuto al fresco dolore il pianto, e quindi il conforto; doversi ora fermar l’animo, e scacciare la maninconia, come fecero i divini Giulio e Augusto, nel perder quegli la figliuola unica, questi i nipoti; per non contare quante volte il popol romano francamente sofferse eserciti sconfitti, generali morti, famiglie nobili spente. I principi essere mortali, la repubblica eterna; però ripigliassero le loro faccende, e ne’vegnenti giuochi Megalesi anche i piaceri.„

VII. Allora fini il feriato. Druso se n’andò agli eserciti di Schiavonia. Ogn’uno a orecchi tesi aspettava il gastigo di Pisone: nè si potevan dar pace ch’ei si stesse pe’ giardini dell’Asia e dell’Acaia ai solazzi per ispegnere con sì arrogante e maliziosa dimora le provanze delle sue scelleritadi, essendosi divolgato, che quella Martina maliarda, che Gn. Senzio mandava a Roma, presa come dissi, s’era in Brindisi trovata morta, con veleno nelle trecce, senza segno nel corpo d’essersi ammazzata.

  1. Ciò sono quelle lagrime e triboli e altro. Gentilissimamente il Picchena, segretario, studiosissimo di questo autore, corregge così: Non enim eadem decora principibus viris, et imperatori populo, quae modicis domibus aut civitatibus. Solamente dittonga e relativizza la copula que, la quale il Lipsio leva: e leva i bei contrari, principibus viris, e modicis domibus: imperatori populo, e civitatibus. E vuole che Tiberio, principibus viris, intenda di sé, che quelle indegnità non faceva, anzi le riprendeva. Nel testo de’ Medici s’è visto poi scritto, quae.