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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/18

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LIBRO PRIMO 11

bandissero i segreti di casa, i consigli degli amici, i servigi de’ soldati; non tagliasse Tiberio i nerbi al principato, rimettendo a’ Padri ogni cosa: in ragion di stato, il conto non tornar mai, se non si fa con un solo.

VII. In Roma a rovina correvano al servire consoli, padri, cavalieri, i più illustri con più calca e falsati visaggi, da non parere nè troppo lieti per la morte dell’uno, nè troppo tristi per l’entrata dell’altro principe; lagrime con allegrezza, lamenti con adulazioni mescolavano. Sesto Pompeo e 1 Sesto Apuleo consoli, furono primi a giurare a Tiberio Cesare fedeltà, di poi Seio Strabone capitano della guardia, e Gaio Turranio, abbondanziere: seguitarono il senato, la milizia, e ’l popolo, facendo Tiberio d’ogni cosa capo a’ consoli, quasi la repubblica stesse in piedi, ed egli in forse di dominare; il perchè con breve e modestissimo bando, ove s’intitolò solamente tribuno fatto da Augusto, pregò i Padri che lo venissero a consigliare dell’onoranze del padre, il cui

    nio) mi trovai quando quel ribaldo di Mesio Modesto mi domandò: Che te ne pare del nostro Rustico Aruleno? il quale era confinato da Domiziano, perchè il dir vero era pericolo, il mentire scelleratezza; gl' Iddii m’aiutarono, e risposi: Io lo dirò al magistrato de’ Cento, se bisognerà. Replicò: Dimmi, ti dico, quello che tu ne senti. I testimonj, diss’io, s’esaminano contro a’ rei, non contro ai condannati. Canzone! diss’egli; Io vo’ sapere come tu credi che egli l’intenda col principe. E io risposi: Contro a un condannato non è lecito esaminare. Egli ammutolì; e, io ne fui benedetto, e uscii di quel laccio che Modesto mi tendea.

  1. (*) Anni di Roma edificata 767.