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LIBRO QUARTO 183


V. Guardavano Italia due armate, nell’un mare sotto Miseno, e nell’altro a Ravenna: e la vicina costa di Gallia le galee con forte ciurma, che Augusto prese ad Azio, e mandò a Fregius. Otto legioni (il nerbo delle forze) stavano in su’l Reno a ridosso a’ Germani e a’ Galli; tre nelle dianzi domate Spagne. Il regno de’ Mori dal popol romano teneva in dono Iuba; due legioni frenavano il rimagnente dell’Affrica; due l’Egitto, e quattro tutto ’l girone di terra dalla Soria all’Eufrate, confinato dall’Ibero, dall’Albano e altri re, cui la nostra grandezza difende dall’altre potenze. Tenevano la Tracia Remetalce e i figliuoli di Coti; la ripa del Danubio due legioni in Ungheria, due in Mesia; e due eran poste in Dalmazia alle spalle di quelle, e comode ad ogni repentino soccorso d’Italia; ancora che la città tenesse in corpo per sua propria guardia tre coorti di romaneschi, e nove pretoriane, scelte quasi di tutta Toscana, Umbria, Lazio e romane colonie antiche; e ne’ luoghi opportuni delle province nostre, stavano armate de’ collegati, fanti e cavalli d’aiuti, di poco minori forze; l’appunto non si può dire, essendo messe qui e qua, più e meno, secondo i tempi.

VI. Farmi anco da dar conto, come l’altre membra della repubblica stessero sino allora, poiché in quell’anno cominciò Tiberio a peggiorare il principato. Primieramente le cose pubbliche e le maggiori private, trattavano i Padri; i principali ne dicevano i pareri; dava egli a’ troppo adulanti in su la boce;

    il Lipsio a carte 309 dispregia molto nel libro XI di questi Annali, dove si pone la descrizione di tutti i cittadini romani ascendente a sette milioni quarantaquattro mila.