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LIBRO QUARTO 213

chiti, laecian lor poste, tuffansi nelle vivande, nel vino e nel sonno. I nemici veduta lor tracutaggine, fanno due schiere, per assalire una i saccheggianti, e l’altra il campo romano; non per pigliare, ma perchè ciascuno per le grida e armi al pericolo suo badando, non sentisse dell’altra zuffa il rumore: e andaron di netto per più spavento. Gli assalti romani gli scacciarono di leggiere; gli aiuti Traci, spaventati dal subito assalto, e trovati chi dentro a poltrire, chi fuori a rubare, furono ammazzati con rabbia, e rimproccio di fuggitivi, di traditori, prenditori d’arme per fare schiavi sè e la patria.

XLIX. L’altro giorno Sabino si presentò in un piano con l’esercito, se forse i Barbari per l’orgoglio di quella notte li annasassero. Non uscendo essi del castello e suoi congiunti monti, cominciò assediarli con bertesche ben munite, e quattro miglia intorno gli affossò e trinceò; e per tor loro acqua e pastura, a poco a poco il chiuso ristrinse; e un battifolle rizzò già vicino al nimico, per batterlo con sassi, dardi e fuochi. Ma sopra tutto gli consumava la sete, essendo a tanta gente utile e disutile, una sola fonte rimasa; i cavalli e gli armenti con loro, a loro usanza, rinchiusi senza pasciona, morieno: giacieno i corpi degli uomini morti di ferite o di sete. Di sangue puzzo e morbo ogni cosa fetea, e v’entrò la discordia, nelle avversitadi suggello di tutti i mali; volendo chi darsi, chi l’un l’altro uccidersi; i mi-

    dice, raptis opulenti. Ognun vede quanto meglio. Di non aver durato a riscontrarlo ogni fatica, mi pento: e così mi racconcio, Datisi al piacere, e di prede arricchiti.