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246 DEGLI ANNALI

il vecchio, o a più facilmente opprimerlo, se vi fosse modo. Sue ragioni eran, Livia inferma, lunga assenza, sue premure per Cesare. Tiberio, più scaltro, oppose gli affari urbani, e ’l suo ritorno a Roma; tosto con lettera al senato pugne di balzo Seiano, ove lodandolo così così, ove maligno tacendone. Indi a stimolo, e freno insieme degli animi di novità vaghi, or fingesi egro com’è d’anni e di mali, bisognoso d’altrui mano in cure più gravi; or dice di venir in breve, rimesso che sia di forze e di salute, in Roma, al timon della repubblica.

XXX. Pochi di buon naso l’animo del principe subodorare; il resto non vedea che la sovrana potestà tra Cesare e Seiano divisa; e Seiano stesso, se ben tra speme e timore, pur lieto paseeasi della lusinga del trono, cui non ispoglia mai l’ambizioso. Cesare, a cavarli in fin dal cuore l’intimi sensi, cogli onori e coll’emulazione gli dà assalto; lui e ’l figlio alzando al sacerdozio con Caio, cui chiamò a Capri, e tosto presa la toga, preconizzò erede. L’emolo giovane, già in fortuna, e ’l trasporto del popolo per la casa Germanico che ridava su, punse d’invidia Seiano. Ma i Padri, a vil ossequio portati sempre, e niente politici, il decretaron proconsole; e proporlo stimarono modello de’ consoli avvenire: giunta d’onore, servile adulazione che medicò la piaga. Tosto però lo sgomentò Tiberio, assolvendo di Spagna, e d’altrove, i rettori a Seiano avversi, e sotto processo.

XXXI. Qui a pentirsi, che da console, quando Roma gli era schiava, stettesi a bada; se non che la dubbia speme rianimò alquanto lettera di Cesare a’ consoli, ove nominato, pur senza loda, Seiano,