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SUPPLIMENTO AL LIBRO SETTIMO | 299 |
che differiti al decimo dì, che tal morte seppesi, pietà imploravano, assente il nuovo principe. Vane preci; strozzaronli i custodi a non trasgredir l’ordine, e gittaronli sulle Gemonie, la pristina crudeltà regnando ancora.
II. Calmò gli animi lettera al senato di Caio Cesare, col testamento di Tiberio, da Macrone recata, che ordina ti decreti sacro culto all’avo: verrà ei presto a Roma al maneggio del governo coi Padri. Voglian bene al giovane, rampollo di Germanico, e n’abbian cura. Ma fea pratica Macrone si acclamasse principe Caio; casso il testamento, in cui già di due anni chiamò Tiberio i due nipoti del pari eredi: e Claudio, mancando essi, con lascio di circa due milioni di sesterzj. Al testamento e a Caio prìncipe tosto i Padri aderiro, di dispor dell’impero superbi; a vendicar l’antica macchia, e a comprar colla stessa onta il nuovo favore. De’ divini onori al morto, a trattar differirono venuto il principe.
III. Portasi intanto da’ soldati di Tiberio il corpo da Miseno a Roma. A torrenti d’ogni parte accorron di gioia ebbri i popoli, più per omaggio al nuovo padrone, che a solennità del mortoro. Non lagrime e piagnistei; ma per tutto un morder confuso l’odiato principe, e feste e lodi a Caio, che in gramaglia segue la bara. Ei tra altari e vittime e torchi accesi, e tra’ ministeri della feral pompa, incede, di suo onor godendo; e incita, col mentir viva pietà e tristezza, a più malmenar l’avo.
IV. Entrato nottetempo in Roma, a gran lagrime con parca loda Tiberio a mane celebrò, pria di biniciarlo nel pubblico funerale; gran cose d’Augusto,