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SUPPLIMENTO AL LIBRO SETTIMO | 303 |
all’immagini d’Augosto a Caio fe’ onore, e diè staggi i figli; sua dignità obbliata, a sfogar l’antiche ire.
XIII. Dell’impero i tripudj per l’impensata pace crebbero all’entrar Caio e Claudio al consolato a calendi di giugno. Non mai più viva gara, i consoli in beneficenze, Roma in ossequi tutta fervente. Parlò in senato il principesse, dato carco a Tiberio d’ombroso, cupo, sozzo, libidinoso, gretto, sordido, brutalmente crudele, irreligioso, nemico dell’onor dello stato, emular promise avo e padre in virtù; Che, educato fra l’armi e allievo qual è del senato e popolo romano, non a sè vivrà, ma alla patria; co’ buoni e miseri indulgente s co’ malvagi sol implacabile; non porrà mano al governo, se non a difender religione, privato diritto, pubblica libertà; ciò bastargli, ciò solo ei bramare, l’onor del suo principato, l’illesa maestà dell’impero, la sicura felicità del popolo; sensi più rari a udirsi, più avidamente accolti. E perchè principe che ottimo parca, tralignar non potesse, decretò il senato leggessesì ogni anno tal aringa, qual se frenar vaglia l’adulta licenza de’ sovrani il membrare lor virtù di pria.
XIV. Cesare intanto, del futuro al buio, a fatti più ch’a parole, a destar indignazione contro a Tiberio; a raccender gli antichi rancori; ogni studio a porre nella liberalità, umanità, magnifìcenza e simili, rare o ignote nell’altro principato. Abolì il crimenlese; nè sol cassò la nuova legge di tortura a schiavo contro a padrone, ma regalò d’ottantamila sesterzj Liberta, che resse al martoro senza fiatar del padrone a danno. Ludi celebravansi, e d’altre spese alla reale si fea pompa. Tra’ quai, più speciosi che lodevoli fatti, un egregio detto uscigli; chè ri-