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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/327

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320 DEGLI ANNALI


VIII. Sì bravato, rinovò le leggi del crimenlese, e le fe’ sporre incise in bronzo indi ratto del senato passò ne’ sobborghi. Allibiti i Padri, nè vedendo uscita, tennersi tutti rei di stato, e Roma pure, non v’essendo chi adontato non avesse Tiberio, cui avean tutti malmenato per farsi merito col nuova principe. La dimane alquanto rinfrancati, in pien senato dibattono che fare in tanto rischio? Rinunziato affatto a libertà, vergognoso partito seguirono di salute; e lodata la prudenza e pietà del principe, fer decreto: Grazie li si renda me’ che si può della vita lor servata: l’anniversario dell’aringa di Caio, co’ giuochi Palatini a sua clemenza si sacrifichi; portisi in Campidoglio sua statua d’oro tra l’inni dei nobili garzoni; al suo ritorno entri il principe in Roma, quasi vinti i nemici, ovante; infamie di schiavitù, che crebber sempre al crescere d’atrocità il principe.

IX. Lieto dello spavento del senato e di Roma, spregiò Caio gli offerti onori, a portentose cose, da testa veramente sventata, aspirando. Ad emular Serse, o a terror della Germania, e Brettagna, su cui era per piombare, o, secondo i più intesi di corte, per ismentir di Trasillo i vaticinj, e con nuovo miracol d’arte mostrarsi principe, argomentossi d’unir con ponte Baia e Pozzuolo, tra lor distanti sopra tre miglia e mezzo.

X. Opra di pazzo ardire, di pressante studio, figlia. Artieri di qua, di là, alberi recisi, materiali pronti, navi in piedi; nè bastando esse all’immensa fabbrica, prese a nolo le mercantili. Sì alla gagliarda lavorandosi, mentre Roma e Italia langue di fame, eccoti il gran ponte su navi a doppio in ancora, e