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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/344

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SUPPLIMENTO AL LIBRO OTTAVO 337

sua anticorte, stassi tra lor sovente a farsi adorar da chi entra.

LIII. In tanto farnetico (ch’è il mirabile) qualche umanità ritenne; chè Giove emulando, al dar un dì gli oracoli, un Gallo calzolaio, occhiato, che ridea: „Che ti sembro io?„ dimandogli. E questi: „Il bel matto;„ e la passò buona per la franchezza e pel mascalzone ch’era. Più ingegnoso L. Vitellio, pria di consiglio e d’arte egregio, maestro poi di servitù e d’adulazione, da Gaio richiesto, se la Luna vedea seco a congresso; ei con occhi a teira, in voce tremante, tutto rispetto: „A voi soli numi o Sire, è dato vedervi l’un l’altro.„ Nel che, come pria gli altri in incensar quel nume passato avea, così ad asserir stia divinità, pur con equivoco, li passò poi in favore.

LIV. Ma il nuovo Dio a pochi benefìco, ai più pesante, con inaudite gravezze, e più sconce arti, sotto nome divino tremende, i beni di tutti ingoiasi. I sagrificj stessi, per lo più miniere d’oro, ferono allor povertà; che dicendosi Giove Laziale, un tempio erse al suo nume, e oltre squisitissime ostie, fenicotteri, pavoni, tetraoni, numidiche, galline d’india, fagiani, da stabilmente immolarsi tutti i dì; istituì sacerdoti il zio Claudio, e i più ricchi, che il sacerdozio per dieci milioni di sesterzj comprassero. Ei di sè stesso sacerdote a quel ceto ammise la moglie Cesonia, e ’l suo cavallo incitato, pel nume e pel culto del par ridicolo, ma lieto per l’esito, che nell’oro sguazzava. Pur in tai delizie non fe’ posa al furore; anzi tanto più gli piacque altrui roba e vita, e con insulto, chè astretti eran a ringraziarlo i da lui spogli d’avere o prole. In questa promiscua


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