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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/349

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342 DEGLI ANNALI


LXV. Essi la preparata aringa recitavano a provar lor dritti per quarant’anni di possesso, quando ratto ei fugge, e su e giù per la vasta reggia, ordina si chiudan le finestre a vetro bianco simile a pietra trasparente. Poi bel bello a’ Giudei ritornando: „In somma che dite?„ Riepilogando essi il già detto; eccolo tosto al tempio, che d’antiche pitture ornava. Tornato in fine, nè sì fiero, ma impietosito: „Infelici!„ conchiuse „o più che malvagi, imbecilli, a non capire come partecipe io sia della natura di Dio!„ Dopo che, parte; e i Legati congedansi, stomacati a tanta leggerezza; ma lieti, chè non pur della causa, della vita anco disperavano.

LXVI. Uscente l’anno pagò Apelle delle male arti il fio; e stretto in ceppi e più giorni alla ruota martoriato, onde a lungo soffrisse, quanto fu prima a lussuria mantice, tanto servì a crudeltà di giuoco; non raro, ma sempre inefficace esempio; se di più incentivo a peccare è la fortuna presente, che di freno la tema d’infamia avvenire. L’anno stesso Ponzio Pilato, due anni pria rilegato a Vienna, diè fine da sè a’ suoi dì, neri per la memoria dell’antica dignità, pe’ suoi rimorsi, per insoffribil noia.

LXVII. Caio Cesare la quarta volta e Senzio Saturnino entran consoli con infausti auspicj, chè sacrificando Cesare a calende di gennaio, mancò alla vittima il fegato. Altri prodigi pur si sparsero, più per tedio del principato, che come veri. Ma non tacerò quel che Plinio famoso storico naturale riporta; nè i soli fatti veri, ma anco i riferiti da autori di conto, se bene men verisimili, riportar deve un annalista. Tornando dunque Caio da Astura in Anzio, fu voce che tutta la flotta facendo vela,