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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/35

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28 DEGLI ANNALI


XXVI. La turba rispose, che Clemente centurione sporrebbe l’animo loro. Egli disse della licenza dopo i sedici anni, del ben servito, dell’un denaio il dì, del non rimanere all’insegne. Dicendo Druso, che a queste cose ci voleva l’ordine del senato e del padre; fu dalle grida interrotto: „A che venirci senza poterci crescer paghe, scemar fatiche, far ben veruno? Flagellare sì, e uccidere ci puote ognuno. Già soleva Tiberio, con allegare Augusto, far ire in fumo i desideri delle legioni; or ci vien Druso con la medesima ragia. Haccis’egli sempre a mandar pupilli? Che è ciò, che l’imperadore appunto i comodi dei soldati rimetta al senato? Quando li mandano a giustizia o a combattere, perchè non sen’aspett’egli il compito altresì dal senato? Hannocisi a dare i premj passati per le filiere de’ consigli, e i gastighi alla cieca?„

XXVII. Partonsi dal seggio; ad ogni soldato di guardia, o amico di Cesare, ch’ei s’avvengano, vanno con le pugna in sul viso per cagionar quistioni, origine di venire all’arme; niquitosissimi contra Gneo Lentulo, creduto più degli altri, per l’età e gloria dell’armi, governar Druso, e tanto disordine di milizia abborrire. Vistol fuori con Cesare e avviato, per fuggire il pericolo, agli alloggiamenti del verno, l'accerchiano, e dimandano, „Ove si va? all’imperadore, o a’Padri, a guastare anche quivi i comodi delle legioni?„ Vannogli addosso coi sassi; e già era sanguinoso e spacciato, se gente di Druso noi soccorreva.

XXVIII. Minacciava quella notte di molto male, cui la sorte addolcì. La luna, facendosi il cielo quasi