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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/433

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426 DEGLI ANNALI

darono, e uccisero il prefetto e quasi tutti i centurioni.

XVIII. Mitridate, non avendo più arme, pensa ove trovar misericordia. Di Coti fratello statogli traditore, or nimico, temeva; Romano alcuno ivi non era d’autorità da starsene a sue promesse. Gittasi ad Eunone, nimico suo proprio, e per la nuova nostra amicizia potente, e con abito e volto acconcio alla presente fortuna, entra in palagio, e abbracciatogli le ginocchia, dice: „Eccoti volontario Mitridate, tanti anni da’ Romani cercato per terra e per mare. Fa della prole del grande Àchemene (il che solo non m’hanno potuto torre i nimici) ciocchè tu vuoi„.

XIX. La chiarezza dell’uomo, la mutata fortuna, e ’l pregar generoso commossero Eunone: leval su: lodato d’avere eletto la gente Adorsa, la destra sua per chieder mercè, e a Cesare manda ambasciadori e lettere di questo tenore: „Gl’imperadori del popolo romano, e i re delle grandi nazioni essersi fatti amici per la simigliante grandezza; egli e Claudio, per la comune vittoria. Le guerre non avere più nobil fine che, perdonando, accordare. Così a Zorsine vinto niente essersi tolto. Per Mitridate, che più grave peccò, pregava, non rendergli regno, nè potenza, ma perdonargli il venire in trionfo e la morte.

XX. Claudio, benchè dolce con la nobiltà straniera, dubitò se meglio era ricevere con tal patto cotal prigione o ripigliarlo con l’armi. Premevalo il duolo delle ingiurie e la voglia del vendicarsi; ma gli era detto: „Che qui si vedea guerra in paesi deserti, mare senza porti, re bizzarri, popoli vagabondi, terreno sterile; tedio, durando; pericolo, affettandosi: poca lode, vincendo, e gran vergogna