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Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 1.djvu/89

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82 DEGLI ANNALI

legioni; e da’ tiratori di mano e di fionda, balestre e mangani, spazzar di nimici l’argine; per cui difendere, chi s’affacciava, cadeva. Cesare co’ pretoriani suoi fu primo a pigliar lo steccato, e sforzare il bosco; quivi si venne alle mani. Chiusi erano i nimici dietro dalla palude: i nostri dal fiume, e da’ monti. A ciascuno dava il sito necessità, la virtù speranza, la vittoria salute.

XXI. Non erano i Germani inferiori d’ardire, ma di maniera di combattere e d’armi; non potendo quella gran gente in luogo stretto le lunghe aste maneggiare, nè destri saltare, nè correre, ma combattevan piantati: dove i nostri con iscudo a petto, e spada in pugno stoccheggiavano quelle membrona e facce scoperte, e faciensi con la strage la via. Nè Arminio era più sì fiero per li continovi pericoli o per nuova ferita: Inguiomero volava per tutto, e mancavagli anzi fortuna che virtù. Germanico, come sotto muraglia, per esser me’ conosciuto gridava: „Ammazza, ammazza; non prigioni; il solo spegnerli tutti finirà questa guerra.„ Verso sera levò di battaglia una legione per fare gli alloggi: l’altre sino a notte si satollaron del sangue nimico. Le cavallerie combatteron del pari.

XXII. Cesare chiamò e lodò i Vincitori, e rizzò un’trofeo d’armi con superbo titolo: Avere l’esercito1 di Tiberio Cesare quella memoria delle soggiogate nazioni tra’l Reno e l’Albi consacrato a Marte, a Giove, ad Augusto. Nulla disse di sè, temendo d’invidia, o bastandogli l’aver fatto. Mandò

  1. Anche lo volgar nostro, quando bisogna, come qui gonfia; avvenga che egli, per natura, tenda più tosto al gentile.