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LIBRO SECONDO 89

decreti di cacciar d’Italia strolaghi e negromanti; tra quali L. Pituanio fu gittato dal sàsso; e Marzio da’ consoli ebbe il supplizio antico1 fuor della porta Esquilina, con la strombazzata.

XXXIII. La seguente tornata Q. Àterio e Ottavio Frontone, stati consolo e pretore, molto dissero del disonesto spendere della città; e ordinossi; Non si mangiasse in oro massiccio; nè uomo s’infeminisse, vestendo di seta. Frontone trapassò a moderare argenteria, arredo, servitù; usando assai per ancora i senatori, se scorgevano qualche ben pubblico, non proposto, salire in bigoncia 2, e pronunziarne il loro parere, non domandati. Àsinio disse contro: „Le facultà private essere secondo l’imperio cresciute: non pure oggidì, ma per antico. Altro danaio aver avuto i Fabbrizj, altro gli Scipioni. Tutto ire all’avvenante della repubblica. Quando ella era poca, i cittadini

  1. Strangolava il carnefice a suon di trombe fuor della porta Esquilina, per non turbare di spettacolo tristo e orrendo la bella libertà.
  2. Àringavano i nostri antichi al popolo in piazza in ringhiera; ne’ consigli in bigoncia, che era un pergamo in terra a foggia di bigoncia. Parere, a noi oggi significa quel discorso che ciascheduno che siede in magistrato, fa della cosa proposta. Sentenza, quel partito, o decreto che si vince, e si distende dal cancelliere. Ma i Romani dicevano Sentenza il detto discorso, cioè quanto il senator ne sentiva e pronunciava. Proposto era il consolo. La deliberazione si diceva Senatus-consulto, Plebiscito o Decreto. Non parlava chi non era richiesto da consolo. Ma quando uno scorgeva un pubblico bene non proposto, lo poteva dire in luogo di sentenza, e tal forza avea. Potevano proporre che non era loro ufìcio, e sopra di ciò, non richiesti, consigliare. È da vedere il Lipsio sopra il lib. 15 di questi Annali.