Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
de' quali rifornì Vitellio ancora la sua gente, per venire appresso con tutto il pondo della guerra.
LXII. Maravigliosa fu la diversità tra l'esercito e l'Imperadore. Sollecitano i soldati, chieggono che si venga all' armi : » Ora che le Gallie tremano, le Spagne non si risolvono ; non impedisce il verno ; non vi è trattamento di pace ; assaltisi Italia, piglisi Roma ; le discordie civili voler prestezza ; fatti e non consigli. » Vitellio, per contro, dormiva: la grandezza del principato preveniva con infingarde morbidezze e prodighe cene; ubbriaco a mezzo di, pesante e grasso; e nondimeno l'ardore e la forza de' soldati faceva l'uficio del capitano, come vi fusse presente Imperadore, a fare animo o paura, ai valorosi o poltroni. Ordinati, e tutti pronti, chieggono il segno del marciare , aggiugnendo a Vitellio il nome di Gin-manico. Il titolo di Cesare non volle nè anche vincitore. Lo di che Fabio Valente mosse col suo esercito , un'aquila gli volò innanzi, adagio secondo quel passo, per lungo spazio ; quasi gli mostrasse il cammino, e quieta e sicura , con sì allegre grida de' soldati, che fu aguro certo di gran successo e di prospero.
LXIII. Entrarono tutti sicuri ne'Treveri, come collegati ; e benchè cortesemente ricevuti in Divoduro, terra de'Mediomatrici, presi da subita paura, si voltano con l'armi contro a quella terra innocente, non per volerla saccheggiare, ma per rabbioso furore , senza sapersi perchè ; perciò meno rimediabile : pure il capitano tanto pregò, che - non la distrussero; avendovi morto da quattromila persone ; e missono in (ìallia tanto spavento , che tutte le città, quando -, ««onctovonn, «l'i"-—'-""ann in pricissione co" ma