Pagina:Tacito - Opere storiche, 1822, vol. 2.djvu/268

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LXI, Tra le fortune de’ Grandi si mescolò ( che Vergogna è a dire) un plebeo de’Boi, detto Marico; e ardì provocar l’ armi romane col chiamarsi Liberator delle Gallie e Iddio : e già con seguito di ottomila persone sollevava i vicini villaggi degli Edui, quando questa gente prudentissima con sua fiorita gioventù e gente avuta da Vitellio , sbaragliò quella moltitudine spiritata. Marico nella battaglia fu preso e giltato alle fiere : e , perchè non lo sbranavano , il volgo sciocco credeva che fusse inviolabile; finchè fu ammazzato , veggente Vitellio.

LXII. Contro ad altri felloni , o lor beni , non s’ andò più. De’ morti nella battaglia otoniana valsero i testamenti; o per li non testati, le leggi; da non temere d’avarizia , se ei si fusse temperato da quella brutta gola, non unque piena. Mandavanglisi di Roma e d’Italia gli aguzzamenti dell’ appetito : le poste correvano dall’uno e dall’altro mare; se n’ andavano in banchetti I Grandi della città ; rovinavansi esse città; tralignavano i soldati , passando dalle delizie: al disprezzo del Capitano. Mandò in Roma un editto , nel quale differiva il titolo d’Augusto , non riceveva quel di Cesare ; non diminuendo però sua podestà. Cacciò d’Italia gl’indovini. Sotto gravi pene ai cavalieri romani proibi macchiare quel grado, schermendo in teatro o recitando. Ciò sotto altri principi fatto aveano a prezzo e spesso forzati; eie terre e colonie gl’imitavano ; invitando con premj i più scorretti giovani.

LXIII. Ma Vitellio per l’ arrivo del fratello, e per li sott’ entrati ministri, divenuto più superbo e crudele, fece ammazzare Dolabella , messo da Otone in Aquino con guardia , come dicemmo. Il quale, udita