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espansione, un’irradiazione continua; avrei potuto amare tutto l’universo senza esaurirmi.

«E parlo di affetti, non di amore, ché a quell’età non avrei potuto sentire altro che affetti; se quel bisogno di amore fosse perdurato sì violento fino alla gioventù, mi avrebbe trascinata a qualche eccesso colpevole.

«Tutti i fanciulli si affezionano ai primi oggetti che possiedono, sopratutto alle cose che vivono od hanno apparenza di vita; ma le loro predilezioni sono superficiali, mutabili; sono meglio che affetti, un’affettuosa curiosità di conoscere. L’intensità era invece la maggiore dote della mia; amavo le cose che amano i fanciulli, ma come le amerebbero gli uomini.

«Mi ricordo spesso — e te lo racconto per farti sorridere — di una piccola sciagura che m’accadde a sette anni, e che mi fu causa di una malattia quasi mortale. Avevo un micio ed un canarino; erano tutta la mia affezione, non avrei saputo dire quale amava di più. — Il micio mangiò il canarino — immagina tu il mio dolore! Uno l’aveva perduto, l’altro non lo poteva più amare, doveva abborrirlo. Me ne corrucciai tanto, che ne fui malata due mesi.

«Non ho mai amato le bambole, aveva avversione a tutto ciò che non era vivo; amava le piante ed i fiori perché mi parevano cose viventi. Non so dirti ciò che provava alla vista di un cespo di viole, di un bulbo di giacinto, di una pianticella di primule. Le sradicava, e le tramutava spesso di vaso per averle tra le mani, per vederne le radici, per guardarle bene; se morivano, ne conservava gli steli disseccati. Di tutte le sensazioni incerte e confuse di quella età, questa è stata sempre per me la più inesplicabile — questo strano amore che aveva per le piante. Mi avviene ancora oggi di pensarvi alcune volte, senza poterne punto comprenderne la natura.