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maternità che possa compensarla qualche volta della privazione dell’amore, ma questa ne è il frutto, ed è spesso negata alla bruttezza.

«Mio caro Giorgio, tu comprenderai ciò che io ti voglio dire: io ho provato questo tormento in tutta la sua estensione; io più che molte altre infelici, giacché la mia sensibilità era disgraziatamente ancora più mostruosa della mia laidezza. Sì, della mia laidezza; avrò il coraggio di giudicarmi senza pietà, e di chiamare le cose col loro nome. Se tu sapessi… io ho odiato molto me medesima, ho odiato molto la mia disavvenenza, ma non mai tanto quanto ho detestato e detesto ancora il mio cuore. Sono le sue esigenze che mi hanno reso doppiamente terribile il peso della mia deformità.

«Allora io non era però così brutta, e se quella strana illusione che mia madre aveva fatto nascere in me coi suoi elogi non avesse dapprima lusingata, poi ferita improvvisamente la mia vanità abbandonandomi, avrei potuto rassegnarmi alla mia fortuna che non era delle più tristi, e forse anche appagarmene. Il disilludermi mi costò invece molti dolori. Giunta ad un’età in cui la bellezza doveva esser tutto, riconosceva di non essere bella; quell’illusione non aveva durato che per tutto quel tempo in cui non sarebbe stato necessario di averla.

«Ti ricordi di aver avuto sedici anni? Hai provato anche tu quella febbre, quelle smanie, quelle inquietudini incomprensibili che accompagnano quell’età? Hai sentito anche tu il bisogno di straziarti il cuore con mille sventure immaginarie, di crederti vittima di persecuzioni che non soffrivi, di fantasticare una felicità impossibile per godere crudelmente di disilluderti? Hai provato tu pure quel bisogno che ti spingeva a cercare una chiesa per pregarvi e per piangervi? La mia vita fu così povera anche di amicizia che non ho ancora potuto pe-