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di reciderli ella stessa. Una parte dei suoi capelli le era sfuggita, tentò di riafferrarli e fu vano; io ebbi tempo di trattenerla.

— Hai ragione, mi disse ella, hai ragione; più tardi.

Più tardi! che voleva ella dire? Perchè? E poteva io ingannarmi sul significato di quelle parole? Si sarebbe ella privata della sua sola bellezza in quel momento? Più tardi! più tardi! Mio Dio!

In quella si udì lo scatto d’una molla, poi quattro squilli sonori del pendolo.

Quattro ore! Erano passate quattro ore! Levai gli occhi in volto a Fosca e vi lessi lo stesso pensiero. Feci un moto come per ritrarmi; essa mi afferrò, mi strinse, e con un accento intraducibile d’affanno mormorò alle mie orecchie queste terribili parole: «Sii mio! Sii mio!»

Una nebbia mi oscurò l’intelletto, e non ebbi forza di resistere. Ciò che avvenne dopo è così spaventoso che la mia mente ne rifugge inorridita. Due lunghe ore di spasimi, di grida, di ritrosie ispirate dal ribrezzo, hanno spezzato la mia natura, hanno sfasciato l’edifizio delle mie memorie e inaridito l’ultima sorgente delle mie speranze...


XLIX.


Mi trovai nel luogo convenuto presso il castello senza quasi avvedermi d’esservi andato. Non aveva dormito, e mi pareva di non essere ben desto. Il dottore era venuto co’ miei secondi, m’aveva cacciato in una carrozza, ed era stato in ciò sì pronto e sì puntuale, che eravamo giunti nello stesso istante che il mio avversario.

Era una mattina fredda, oscura, nebbiosa; gli alberi