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fosca 23

più d’appresso. La mia anima, vuota da tanto tempo, si era gettata con furore su quella preda. Se la sua pietà non fosse venuta a salvarmi, io mi sarei divorato il cuore.

La rividi. Il bel tempo era ritornato, aprile era finito, e maggio fioriva. Risentii tutte le febbri della primavera, quel fuoco ardente che il sole di maggio trasfonde nelle fibre, nelle vene, nel cuore. I fiori sbocciavano, gli uccelli riprendevano le loro canzoni, le fanciulle — fiori umani — scherzavano lungo le aiuole; dappertutto l’inno all’amore era cantato.

Un giorno nel salire la scala, vidi le sue stanze aperte, essa era sola; corsi verso di lei, e mi precipitai alle sue ginocchia. Essa fece atto di fuggire; io rimasi immobile col volto celato tra le mani. Mi si appressò piangendo, si curvò verso di me, e mi disse singhiozzando:

— Abbiate pietà, andate, lasciatemi.

— No, io morirò qui, io soffro.

— Oh mio Dio! povero giovine!

— Mi odiate?

Essa mi strinse al suo seno, e mi coprì di baci e di lacrime.

— Vi amo, vi amo, ma lasciatemi.

Fuggii come un demente.

Alla notte fui assalito dalla febbre; ebbi strane visioni, feci dei sogni puerili: vedeva delle farfalle e degli angeli, dei paesi che non aveva mai visto; mia madre, più giovane di molti anni, piangeva vicino al mio capezzale, ed era vestita di un abito grigio che io l’aveva veduta portare da bambino.

All’indomani era malato.

Le riscrissi:

«Io sono malato, io non guarirò se non vi vedo, venite.»