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amore nell'arte 257

leva personificare in un tipo di bellezza sensibile quel tipo astratto e ideale che gli aveva creato la sua arte. La natura stessa lo conduceva a cercare questa personificazione nella donna; la purità della sua anima, la casta religione di questo ideale lo costringevano a volerne escluse quelle passioni fìsiche che la contaminavano. Perciò egli non aveva amata Adalgisa che morta, l’aveva amata solamente in quegli istanti, in cui senza avere ancora perduto nulla della sua bellezza, si era già spogliata di tutte le sue passioni. Seguendo questo ordine stesso di idee, non allontanandoci dalle leggi e dalla natura della sua follìa, comprenderai agevolmente come egli non potesse rimanere fedele a questa affezione, giacchè egli aveva d’uopo di vedere, di ammirare questa personificazione più o meno imperfetta del suo ideale. Non è a dirsi se egli soffrisse di questa dimenticanza che gli imponeva la sua stessa natura, la sua arte stessa; egli aveva creduto che quell’affetto sarebbe durato eterno, e lo sentiva svanire, spegnersi, dileguarsi miseramente come tutti gli affetti terreni; sentiva riformarsi nel cuore quel vuoto che egli aveva riempiuto un istante, ma che ora non poteva sperare più di riempire.

«In quell’intervallo di lotte, in quel periodo di triste scoraggiamento si disgustò anche della sua arte, alla quale credeva, e non senza ragione, dovere unicamente la sua infelicità. La musica, diceva egli, è relativamente alle nostre facoltà la più imperfetta e la più incompleta di tutte le arti. Noi non sappiamo se ci andiamo avvicinando od allontanando dalla sua perfezione — non lo potremo mai indovinare — non le potremo mai assegnare nè un limite, nè una legge, nemmeno una via sicura, tanto ella si allontana da tutto ciò che è sensibile, da tutto ciò che è reale. Non è nemmeno possi-