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280 amore nell'arte

corrente vorticosa della sua vita; scuotere, avvizzire quelle forme divine e sensibili come le foglie pudiche della mimosa.

Questo ritegno forzato e volonteroso ad un tempo, quel non so che di arcano che circonda una creatura sì sofferente, sì delicata e sì frale; quella nobile imponenza del dolore, quella triste e solenne maestà che proveniale dalla morte, che era già in lei, che rivelavasi appunto in quell’azione centuplicata della vita, ne formavano per Riccardo l’oggetto di un culto superstizioso e indefesso. Ma ciò che affascinava sopratutto la mente esaltata del giovine, era la dolcezza, l’espressione ineffabile del suo canto. Anna cantava con forza, con sentimento; cantava spesso dalla mattina alla sera, la musica era il suo linguaggio, essa ne conosceva tutte le leggi, tutte le intonazioni, tutti gli effetti, tutte le modulazioni più arcane... Ma ciò che v’era di incomprensibile, direi quasi di pauroso nel suo canto, era che esso non ridestava idee, od effetti, o memorie di questa terra: colui che l’udiva si sentiva rivivere con sensazioni nuove, incomprensibili, inusitate, in un mondo del pali inusitato...

Era forse l’approssimarsi per lei di questo mondo che le permetteva di udirne e di rivelarne le armonie come l’eco di un eco?

Perocché io credo che esistano armonie, linguaggi, rivelazioni tra mondi e mondi. Quella vaga malinconia che s’impossessa talora di noi, che sente come del rimpianto, che sembra accennare a gioie, a dolori, ad affetti trascorsi, e ci occupa lutto, e non si sa cosa sia, è la rimembranza di un mondo passato: quelle aspirazioni che riempiono ed agitano tutta la nostra vita, quel succedersi di tante speranze sempre deluse, e sempre