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amore nell'arte 299

Bouvard nacque in quel luogo, nacque in una capanna: — suo padre suonava la gironda e faceva ballare una marmotta nera della valle di Champagneux.

— Fu un triste acquisto quello che la famiglia di Bouvard aveva fatto colla nascita di questo fanciullo: in fatto egli era rachitico e infermiccio: la deformità lo aveva segnato colle sue tracce ributtanti, e non gli aveva lasciato nulla di regolare, nulla di attraente nel viso, nulla di vago nell’occhio e nella voce: — parea che la natura lo avesse per metà ripudiato non consentendogli che la pura fruizione della vita.

A sette anni, Bouvard cominciò ad avvedersi della derisione che gli fruttava la sua deformità, e si sentì trafitto nel cuore, immaginando e indovinando forse il destino di tutta la sua esistenza. Le prime avversità dell’infanzia lo fecero inclinare alla meditazione e all’isolamento; e forse dovette a questa sventura precoce lo sviluppo straordinario della sua sensibilità, fors’anche il suo genio medesimo; — chè, se il dolore crea o modifica i grandi ingegni (e la sventura nei sommi è causa e non accidente od effetto), la sua azione debb’essere più efficace nei primi anni della vita, quando la società non ci ha ancora armato il cuore di punte per schermircene, e lo spirito vergine e puro ritiene le impronte incancellabili della natura.

Egli era costretto a separarsi da’ suoi compagni, e si assideva la sera lungo le rive dell'Isere a veder scorrere le acque e tramontare il sole dietro la foresta di Gresy.

«Com’è bello il sole! — aveva detto una volta a sè stesso Bouvard, — come sono belle queste farfalle e questi uccelli che fanno qui il loro nido! — Ecco un magnifico fiore di giglio; quale precisione in tutte le sue parti, quale esattezza nella disposizione delle sue foglie.