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stata la nostra felicità. Ricopio qui testualmente la prima lettera che io diressi a Clara un giorno dopo la mia partenza, e che può darmi anche oggi la misura del mio amore e delle mie lacrime:

«Oh mia vita! Eccoci separati, eccoci lontani l’uno dall’altra. Ieri ancora io era tra le tue braccia, oggi sono solo, lontano, misero, sconsolato, perduto. Che dirti? Come esprimerti il mio dolore? Tu sola, tu che mi ami cogli stessi trasporti disperati, tu puoi sapere dalle tue lacrime l’amarezza e la frequenza delle mie.

«Mi pare di trovarmi sotto l’incubo di un sogno orrendo da cui non posso svegliarmi; non posso credere alla realtà di una sciagura così grande. Mi pare che ad ogni istante io debba riscuotermi da questo vaneggiamento angoscioso, e rivedermi di nuovo vicino a te. In tutti i miei grandi dolori ho provato questa specie di pietosa incredulità che me li rendeva meno terribili. Allora, come adesso, mi domandava: «È egli vero? è ciò realmente accaduto?» E lo sapeva, e lo so che ciò è vero, che ciò è accaduto.

«Oh tu mi conforti santamente! Ho compreso, sai, lo sforzo che tu facevi ieri per nascondermi le tue lacrime. Povera Clara! Tu non volevi che io piangessi, e non sai quanto ho pianto stanotte. Sì, ho pianto dirottamente, dirottamente, e ho ringraziato Iddio di questo conforto. Non è debolezza il piangere, ed anche ove lo fosse, è una debolezza dolce e divina che non umilia l’uomo forte.

«Tu non sai quanto io sono superbo di soffrire per te, per noi, pel nostro amore. Come dev’essere dolce il poter dire alla donna che si ama: «Tu mi costi un sacrifizio, un dolore, una viltà; per te ho sacrificato le mie ricchezze, la mia fama, la mia vita.» Ho compreso come si possa commettere anche un delitto per ingigantire