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paolina. 165


nulla di triste nell’aspetto calmo e dignitoso della morte: gli uomini dormono come si muore, e muoiono come si dorme; perocchè chi può conoscere se i sogni non allietino il sonno eterno della morte? — Sono trascorsi cinquemila anni, e la morte tace.

Spesso in quei giorni tumultuosi che accompagnano il passaggio dall’adolescenza ad un’età più matura, in cui si compiono le più grandi rivoluzioni della vita, e muore il fanciullo per nascere l’uomo, basta il vegliare una notte interrogando un defunto, per sentirsi riconciliati coll’esistenza. Nessuno sfugge a quel linguaggio, nessuno lo dimentica più nella vita. — La scienza dei libri è vacua e impotente per ciò solo che la scienza del cuore non fu mai scritta in alcun libro, e Iddio non ne concesse l’espressione che alla natura.

Tutti gli slanci del genio e delle passioni, tutte le nostre aspirazioni più nobili, tutti gli affetti che tendono alla Divinità e all’infinito, cagionano in noi uno sforzo di estrinsecazione così violento, che si è talora tentati di desiderare istantaneamente la propria distruzione per ottenerla. Ciascuno di noi, io credo, ha sentito in sè l’esistenza di queste due vite, la lotta di queste due potenze; ciascuno ha provato quel desiderio che opprime tutti gli uomini di gettarsi fuori di sè stessi. — La morte compie essa sola questa separazione, onde l’uomo la desidera in tutta la sua esistenza senza aver ben conosciuto e definito questo arcano desiderio. I materialisti, come coloro che sfuggono in parte a questa aspirazione, devono appartenere a quella classe d’uomini le cui facoltà intellettuali ottennero dalla natura uno sviluppo