Pagina:Tarchetti - Racconti fantastici, 1869.djvu/56

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— È vero, rispose egli con dolcezza, perdonate. E mi porse la mano che ritrasse subito, come avesse temuta di offendermi o di nuocermi con quel contatto.

Io lo guardai in volto come per interrogarlo. Egli era sì bello, sì sereno, era tornato sì nobilmente calmo; e v’era qualche cosa di così virile su quel suo viso di fanciulla, e v’era tanta forza in quella sua stessa debolezza, che io compresi come una donna avesse potuto accettare il suo amore anche a prezzo della vita. Ignorava se Silvia avesse conosciuto il segreto di quel giovine, ma sentiva come anche conoscendolo, il sacrificio della sua esistenza avesse dovuto apparirle assai misera cosa in confronto della dolcezza di quell’amore.

Egli conosceva forse il potere della sua bellezza, o mi lesse nell’animo, poichè fece atto di offrirmi una seconda volta la mano, e mi disse:

— Andate, andate, ve ne scongiuro. Voi siete buono, voi potreste sentire forse un poco di simpatia per me, e io potrei pagare d’ingratitudine il servigio che avete voluto rendermi colla vostra visita. È il mio destino!...

— E sia pur tale, interruppi, io non lo temo. — E afferrai la sua mano che mi strinsi al cuore. — Io vi aveva giudicato diverso, io aveva voluto impedire una sventura; fu tutta mia la colpa.