Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/158

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dei primi tempi. Ella sentiva in confuso qualche cosa d'insolito attorno a sè, come uno svolazzìo di mosche, un brulicare di formiche; ma non ci badava, sempre in affanno, sospinta sempre da una impazienza tormentosa, alla ricerca disperata di pretesti nuovi per allontanare Ermanno, per evitare incontri con monsignore, per essere libera ogni giorno più a lungo, fino ad assentarsi di casa per ore ed ore. Così non poteva durare; essa aveva il presentimento di un crollo, eppure non ristava, rispondeva sollecita a ogni richiamo di Fritz Langen, ed i richiami di Langen erano divenuti giornalieri. Bevevano fiamma l'uno dalla bocca dell'altro e si slacciavano più anelanti, più assetati, avidi ancora di ribaciarsi.

In mezzo a tale ubbriacatura, il primo sassolino le fu buttato contro dalla mano inconsapevole di Mamsell' Pfefferkorn.

— I confetti io li voglio - Serena le disse una sera arditamente, entrandole inaspettata nella stanza.

Ermanno, che si disperava sopra due righe di una favola di Fedro, alzò il capo dal libro e chiese:

— Dove li tieni i confetti, mamma? Perchè non me li hai dati?

Vanna non ci capiva nulla, e disse a Serena:

— Ma di quali confetti vai parlando? Io non ho confetti.

— Sì, sì, lo ha detto oggi una signora a zia Domitilla Rosa. La signora ha detto che tu ci farai mangiare i confetti.