Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/17

Da Wikisource.

— 15 —

scegliere con cura gli adornamenti e mescolare con sapienza sorrisi che invitano, parole che respingono. Vanna preferiva lasciarsi adorare, e tutti l’adoravano infatti, con l’adorazione riguardosa e tenera, che si ha verso un fiore, squisito di fragilità e di bellezza. Ella s’indugiava a contemplarsi per indagare il mistero di se medesima, mistero che le sfuggiva come l’acqua sfugge di tra le dita socchiuse. Si vedeva diversa da tutte le sue amiche, senza potersi dire se migliore o peggiore di esse. Avrebbe voluto indovinare perchè al disotto della sua cute, intatta e fresca, talvolta correvano vampate, un guizzare improvviso di tante piccolissime fiamme, che non si vedevano, ma che le accendevano il sangue, trasfondendole un’arsura piena di tormenti.

Mentre si guardava negli occhi, tentando contare le pagliuzze d’oro fluttuanti nell’iride, una voce, la voce del ricordo, le giunse dal talamo:

«Sei bellissima — la voce diceva. — Non distrarti, non perderti nell’ammirazione di te. Io ti attendo! Vieni, adorata!»

Oh! con quale ansia nei tempi della sua gioia, ella accorreva frettolosa a tale richiamo!

Squilli brevi di riso le palpitavano nella gola, le guancie sembravano lembi di porpora, ed ella si lasciava cadere in ginocchio, si abbandonava col seno presso la sponda del letto e sollevava il volto, sollevava le braccia, si ergeva, si offriva con l’anima e con la bocca all’ardore dello sposo fiorente. Ma adesso la voce aveva il suono fioco