Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/206

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un angolo del vasto cortile, gli si accostava in fretta e lo rimproverava teneramente:

— Perchè non giuocate, Monaldeschi? Andate a correre coi vostri compagni, esercitatevi al trapezio; siate forte per essere allegro; siate allegro per essere buono. Domenica vi condurrò con me a pranzo da vostra madre.

Le prime volte che Ermanno tornò in famiglia credè impazzire per la gioia e mischiò le sue alle lacrime di Vanna nel dipartirsi; poi, con impercettibile lentezza, cominciò a trovarsi come estraneo nella sua casa, e se Vanna lo stringeva amorosamente a sè, chiamandolo piccolo cherubino, egli volgeva il capo con senso di fastidio e rispondeva ch'era grande, non piccolo, e che i cherubini stanno in Paradiso.

Cure di ogni sorta lo assorbivano; le preghiere, la meditazione, lo studio, le ore di classe, la scelta del santo protettore, sotto cui collocarsi in dipendenza durante un intiero mese, gli atti speciali di riparazione e consacrazione al Sacro Cuore di Gesù, la nettezza della cappella a lui affidata dal prefetto generale in segno di particolarissima fiducia.

Il lavorìo del pensiero in lui era arrestato; egli non tormentava più le parole allo scopo di scrutarne il fondo, perchè il prefetto degli studi e il prefetto della disciplina gl'inculcavano instancabilmente che le parole dei superiori vanno accettate con umiltà passiva, non già discusse con folle orgoglio. E che bisogno c'era di scrutare,