Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/212

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e attraversare la piazzetta, lo scroscio del temporale raddoppiò di furore e la piccolina dovette far sosta, acciecata, sferzata, con le ali del cappellone agitate dal vento, la corta gonnellina grondante e aderente.

Serena, irosa della sua impotenza, cominciò a menar pugni alla pioggia, dimenando con furia un braccio dopo l'altro e accanendosi nell'insana bisogna.

— Ma cosa fa? - Vanna chiese, ridendo.

— Non vedi? - rispose Ermanno con disprezzo. - Tira pugni all'acqua che cade. Si può essere più stupidi?

— È ancora piccola. Non ricordi quanto eri sciocchino tu a dieci anni?

No, il chierichetto non ricordava; egli ne aveva adesso quattordici fra un mese, era studente di terza ginnasiale, insegnava ai semimaristi di preparatoria la dottrinella, leggeva correntemente in refettorio il latino dei libri devoti, serviva messa con riverenze e genuflessioni, salmodiava secondo le regole del cantofermo, era il chierico non plus ultra, citato a esempio dal prefetto della disciplina, caro all'economo don Eliseo, portato in palma di mano da don Vitale.

— Eccomi, eccomi! - Serena gridò allegra, affannosa, scrollandosi l'acqua dalle vesti zuppe, come fa un canarino quando esce dal bagno.

Volle buttarsi addosso a Ermanno per abbracciarlo; ma Ermanno indietreggiò:

— Sei tutta bagnata; scansati.