Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/221

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e paziente delle cose irragionevoli e colleriche, imparò a cedere e tutto le cedette, imparò a dominarsi e riuscì a dominare gli oggetti, che le divennero amici e che solo, scherzosamente, si divertivano talora a farle qualche innocuo dispettuccio, come quando ella, avendo l'abitudine di collocare alla rinfusa i vasetti delle sue conserve ed i vasetti de' suoi colori, condì di vernice rossa la minestra, e ciò fu di gravi conseguenze per Domitilla Rosa, che ne ebbe violenti conati, o come quando, per la stessa abitudine, spennellò di concentrato al pomodoro il cartone di un suo acquerello, e ciò fu poco male, perchè gli acquerelli di Serena non erano capolavori, quantunque avessero un loro sapore di originalità, per cui le rose andavano ornate di petali occhiuti, simili a visi di piccoli mostri, e le figure, riprodotte di fronte o di profilo, avevano il naso a uncino e le orecchie aperte a ventola.

Quella mattina, era una domenica di mezzo novembre e faceva caldo come se l'estate imperasse ancora, madamigella Serena marciava impettita vicino alla torre del Moro, e nessuno si stupiva ch'ella andasse sola, contrariamente al costume del paese. Non era ella forse arrivata sola dall'America dodici anni prima, a guisa di un uccellino migratore? Non aveva ella forse, durante l'infanzia, percorso instancabile al galoppo, con la sua andatura di cavallino imbizzito, le strade e le piazze sotto l'unica egida di un cuffiotto bianco