Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/266

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ma un succedersi delizioso di sensazioni, una meraviglia nuova per ogni voce, un soave incanto per ogni mattina quando si svegliava, avvertendo che le membra gli diventavano docili all'impulso dell'istinto.

Mangiare, bere, dormire, svegliarsi, guardare dal suo letto le cime degli alberi oscillanti all'aria oltre la finestra spalancata, ascoltare in pace il suono delle ore, non avendo rimpianti per le ore fuggite, nè desideri per quelle fuggenti. Oh! vivere, che buona ineffabile cosa! Ma, a poco a poco, saziata la curiosità di riconoscere gli oggetti esteriori, lo punse curiosità di riconoscersi, e cominciò a scrutarsi nell'intelletto. Immaginava di trovare una devastazione e invece trovò una fioritura fresca, aulente, minuta, di nuove idee ancora incerte, simili ancora tra loro, come quando la bufera è passata devastatrice al disopra di un campo ubertoso, e al posto delle vecchie piante sradicate, altre pianticelle diramano pel suolo radici bianche, sottilissime, simili a fili. Egli si inebriava in sè per quella feconda primavera dello spirito, orgoglioso anche nel constatare che il lavoro dei ventidue anni trascorsi non era perduto e che le sottilissime radici bianche avrebbero assorbito rapidamente succo vitale dal buon terreno dissodato e sarebbero diventate robuste, fruttificando.

In quell'ultimo biennio si era accanito nello studio della teologia con furore cieco.

La teologia dommatica, la teologia morale, la