Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/270

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non trascurava mai di attribuire l'espressione di tali sentimenti alle lettere di mammà:

— Oggi mi scrive che lei è un angiolo - egli disse al momento di congedarsi e guardandosi la punta delle scarpe - mi scrive di non domandare traslochi, giacchè Orvieto è per me da due anni più bella di un Paradiso. Così mi scrive mammà. Lei è un angiolo, signora Vanna, un vero angiolo - e, nella sincerità del suo zelo di ambasciatore, le prese una mano e gliela baciò.

Vanna arrossì per tutto il viso, tutto il collo, e gli rispose:

— Grazie, grazie, si diverta a Bologna, ci torni in buona salute - e un poco smarrita gl'indicò la porta del salotto e scese in giardino per vedere che cosa stava facendo il caro figliuolo.

Ermanno leggeva, seduto all'ombra di un platano, e Vanna gli si pose accanto, mentre al lato opposto del giardino Pericle Ardenzi e Serena passeggiavano adagio per il viale, chiacchierando fra loro. Pericle Ardenzi era diventato un personaggio quasi importante: nel prossimo ottobre si sarebbe coperto di onori, laureandosi in belle lettere, con una tesi da far epoca, e intanto prendeva parte a Congressi storici, trattava di archeologia sopra giornali e riviste, si accarezzava con rispetto la barba nera, lunga oramai fino a toccargli la cravatta, punzecchiava gli eruditi, che si degnavano rispondergli. Esponeva precisamente a Serena con soddisfazione le vicende amene della