Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/304

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Gli occhi di Ermanno erano carboni ardenti; il respiro aveva sibili di saetta che fugga; la bestia in lui stava per irrompere, e l'uomo gemeva invano, tentando sottrarsi al dominio dell'istinto.

Il giovane chiuse gli occhi e, tornato bambino, tornato chierico, implorò grazia dal Signore.

— Gesù, Gesù! Indietro, Satana, indietro! - riguardò spaurito, nel terrore, nella speranza che l'immagine lasciva fosse scomparsa, e riconobbe la vedova dei campi, la quale si era voltata dalla sua parte e lo fissava impudica, con le pupille socchiuse, mostrando nel riso la porpora viva delle gengive. Ermanno balzò in piedi, poi raccoltosi tutto sui garretti, si lanciò sulla preda, la ghermì pei capelli, traendosela dietro sull'erba, dove l'abbattè, stringendola alla gola, folle della feroce lussuria dei padri antichi, quando nelle selve i gridi trionfanti del maschio si mescevano ai gridi spaventosi della femmina agonizzante.

La vedova dei campi, ridendo sempre, s'immerse di nuovo dentro l'acqua e si allontanò, secondando il pendìo della corrente; Ermanno, in ginocchio, guardava il cielo, attonito di non essere incenerito ancora. Aveva violato il suo vôto di castità, il più santo fra i vôti, era un chierico fedifrago, un essere spregevole dinanzi all'occhio irato del Padre. Ma il sangue fervido gli esultava intorno al cuore e tutte le cose gli gridavano, turbinando con gioioso fragore: tu, uomo, hai ubbidito alla legge per cui l'uomo s'integra e si moltiplica.