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Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/349

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i tempi corrono avversi ed i lupi si aggirano insidiosi. Vegliamo dunque, acciocchè la greggia non rimanga menomata.

Ermanno si era genuflesso, ed il vescovo aveva alzata la mano sopra di lui, benedicendo.

Ma quella mattina dell'ordinazione, in cappella, durante la Messa, aveva risentito al petto, un urto improvviso e ne era rimasto sconvolto.

Chi dunque lo chiamava? Chi lo scuoteva dal letargo volontario? La coscienza forse, ch'egli aveva tentato di soffocare e che insorgeva per rivelargli il lezzo di menzogna entro cui egli si andava aggirando, per indicargli l'orrore del sacrilegio che egli era sul punto di commettete?

O non era forse la voce malvagia di Satana che, appiattato dentro di lui, ingaggiava contro di lui la battaglia suprema? La mente di Ermanno era offuscata; le tenebre, nell'istante di dissiparsi, ondeggiavano, diventavano ombra, permettevano bensì la visione degli oggetti, ma una visione paurosa, in cui gli oggetti assumevano forme strane di chimere, e lo sgomento imperava, fantasticamente, sbigottendogli lo spirito ben più che il buio non avesse fatto.

Ermanno, perduto in quel caos, voleva orizzontarsi. Nell'uscire di cappella, disse al prefetto:

— Bisogna che io parli col signor rettore.

E quando si trovò nella saletta della Direzione, in presenza di monsignore, che stava seduto alla scrivania, gli disse concitato: