Pagina:Tartufari - Il miracolo, Roma, Romagna, 1909.djvu/69

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Il calzolaio, con la gobba aguzza e il viso affilato, si asciugava il sudore della fronte e non trovava la forza di esprimersi.

Trecento lire! Trecento lire di vincita! Era un sogno, e il gobbetto ne rimaneva inebetito.

Ahimè! era un sogno davvero! Si verificò che c'era sbaglio e al gobbetto toccò una solenne fischiata invece della somma.

Si estrassero ancora due numeri, e Vanna disse:

— Credo di aver fatto cinquina io.

Era proprio così, ed a tale annunzio il gobbetto, ch'era rimasto buttato sopra una seggiola, esclamò ad alta voce con amarezza:

— L'acqua va al mare e io posso anche crepar di sete.

Vanna già molto impietosita alla disillusione crudele del pover'uomo, udì le parole di lui, e con cenno lieve lo chiamò a sè. Essa lo conosceva da anni, lo vedeva ogni giorno, sotto l'arcata della sua piazzetta, tirar lo spago e adoperare la lesina, e si ricordò ch'egli salutava sempre Gentile con rispetto, quando Gentile gli passava davanti.

— Hai ragione tu, è una ingiustizia della sorte. Ma il giuoco, si sa, è capriccioso. Eccoti la mia cartella con la cinquina vinta. Te la regalo.

Il gobbetto guardò la signora, incerto, pauroso di un brutto scherzo; ma Vanna gli sorrideva dolcemente, ripetendo:

— Eccoti la mia cartella, io te la regalo.

Egli ghermì il foglio con le dita ossute e fuggì