Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/116

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quel vascone, e, tutte le volte che aveva avuto occasione di costeggiarlo, ella aveva dovuto im porsi di ricordare, tanto quella buca ampia e profonda, ricolma di acqua, perdeva ogni signi ficato di terrore sotto il radiante azzurro del cielo e tra il verde smeraldino dei prati circo stanti.

Solo una notte, all'epoca della malattia e nel più forte della febbre, il vascone aveva assunto per lei, nel delirio, il simbolo di una minaccia subdola, e ora esso le si presentava di nuovo, nella realtà, malvagio, insidioso, simile a belva che sonnecchi, sazia di preda, nella sua tana, ma che, pnr sonnecchiando, vigili coll'occhio soc chiuso la preda ancora intatta e destinata ai pasti futuri.

Girò lo sguardo per sottrarsi al fascino, e si avvide che Balbina, la quale era sbucata dal viot tolo fangoso, le stava di fronte in atteggiamento provocatore.

·-- Che cosa vuoi da me? — Oggi non ho voglia di parlare --· disse Flora, quasi supplice, fissando con occhi sbarrati il volto pallido di Balbina.

— Neppur io ho tempo da perdere, sta tran quilla. Voglio dirti una cosa sola.

— Che cosa vuoi dirmi? — domandò Flora con aria stanca e mite.

— Voglio dirti che io mi sposo con Germano Rosemberg e che tu non devi più pensare a lui.

Flora, che stava seduta vicino al vascone, sul l'orlo dell'abbeveratoio di pietra, balzò in piedi fremendo, e si trovò a faccia a faccia con Bal bina. La notizia, scagliatale in viso così brutal mente, l'aveva rinvigorita e scossa dal torpore.