Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/18

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cotone, col cappellaccio di paglia, a sbrendoli, calato sulle ciglia.

Il contadino, all’occhiata dolorosamente scrutatrice del dottore, guardò la signorina, guardò la campagna, grigia e tetra sotto la pioggia, volse lentamente il capo a gettare un altro sguardo verso la massiccia casa bianca, già visibile tra i rami sfrondati degli alberi, indi suggerì con circospezione laconica:

— Io direi di far presto — e s’incamminò, grave e tardo, per la scorciatoia disagiata che, tagliando in linea obliqua la piccola collina, metteva in comunicazione il viottolo con la parte posteriore della casa.

Il dottore rimase incerto, poscia, con sollecito atto paterno, prese Flora per un braccio e, facendola girare intorno al muro del vasto verziere, la trasse di corsa al lato opposto della casa, dove la facciata principale si distendeva orizzontalmente sopra uno spiazzo circolare, sboccante senz’altro nella via maestra per un viale breve e fronzuto, corrispondente alla gradinata esterna e centrale della villa.

La giovanetta, pur non comprendendo e non sospettando, si sentiva stretta, a poco a poco, da un senso di paura, di una paura presaga, di cui le origini le rimanevano ignote, ma di cui ella sentiva il soffio gelido correrle dalla nuca e avvolgerle tutte le membra come entro le maglie sottili di una rete metallica.

— Perchè corriamo? — ella chiese, arrestandosi e indietreggiando inconsapevolmente di un passo, quasi stesse per varcare la soglia di una porta che avrebbe dovuto aprirle un nuovo mondo, pieno di ombre e d’insidie, e di cui i battenti si