Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/223

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Ella rimaneva supina sopra i guanciali, con le palpebre abbassate e le labbra semiaperte. A guardarla pareva morta, e morta avrebbe voluto essere!

Sua madre entrò discinta, spalancò la finestra e le si assise accanto, sulla sponda del letto.

— E' ora che io mi alzi? — domandò Flora senza muoversi.

·-- No, no; ancora abbiamo tempo! Parliamo invece un pochino — rispose Adriana.

Flora aprì gli occhi e guardò sua madre con volto di sgomento. C'era dunque dell'altro? Che cosa volevano ancora da lei? L'avevano già tor mentata abbastanza, trascinandola per i negozi facendole provare ora un vestito bianco ora un vestito nero, obbligandola a misurarsi cappelli di strane foggie, e tutto ciò senza consultarla mai, senza mai interrogarla, senza tener nessun conto de' suoi gusti, come se ella fosse una bambola, ornata per il soddisfacimento altrui, anziché per il piacere proprio.

Adriana le accarezzò i capelli con uno strano sorriso arguto, a fior di labbra, e un luccichio di malizia nelle pupille.

— Pensare — ella disse — che diventerò pre sto nonna di un bel bambolino per causa tua.

Flora, che Adriana si aspettava di vedere scon volta a tali parole, ebbe invece un sorriso ra dioso di felicità.

Oh! avere una creaturina che le appartenesse esclusivamente, una creaturina che fosse tutta sua, proprio sua, ella che non possedeva nulla, che non aveva mai posseduto nulla a questo mondo.

— Credi che io lo avrò davvero un bel bam bino? — ella domandò a sua madre, quasi con ansia.