Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/25

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Gli uomini, che avevano trasportato il cadavere, rimanevano aggruppati in un angolo, coi cappotti gittati sopra le spalle, i piedi diguazzanti negli scarpelli colmi di acqua, le teste girate verso il cadavere, che essi contemplavano con la perfetta indifferenza dei contadini per le sventure altrui.

Non un muscolo dei loro visi si era agitato al breve alterco fra il conte e il dottore; non un cenno di compatimento si era in loro manifestato all’appello supremo di Flora e al singulto lacerante del vecchio.

Il dottore dovette pensare a tutto prima di andarsene. Coprì il cadavere con un lenzuolo, impose ai contadini di fare a turno la veglia del morto, trascinò Flora al piano superiore e so spinse nella stanza da letto il conte Vianello, che barcollava e balbettava incosciente, come sopraffatto all’improvviso dalla tarda età e dal dolore.

Flora e il vecchio conte rimasero abbandonati a sè, ciascuno nella propria stanza, travagliati entrambi dal cordoglio, entrambi vedendo giganteggiare nella notte la figura di un uomo che saliva sull’orlo del vascone e vi si gettava dentro a capofitto per ispezzar la malìa di un amore più forte della consuetudine, più forte dell’onore tradito, della pace infranta, della dignità calpestata.

Ma nè il vecchio, nè la giovanotta pensarono che essi avrebbero potuto trovare conforto me scendo insieme le loro lacrime. Troppo erano di visi dall’età, dal carattere, dall’orgoglio dell’uno, dalla timidezza dell’altra. Fra loro non c’era nessuno che servisse di tramite alla fusione dei cuori esulcerati. Essi erano soli nella notte piovosa, soli nella desolazione della casa deserta,