Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/277

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smossa, e la mano che vorrebbe protendersi avida ad afferrare, rimane sospesa, trattenuta dal terrore di veder cadere in polvere la preziosa reliquia.

A mezzo della gradinata Flora si arrestò e si volse a indicare il colossale angelo di marmo, che sembra voler raccogliere sotto le grandi ali del suo perdono le passioni e il delirio di coloro che vissero.

Germano, rimasto un pochino indietro, sostò invece a contemplare Flora, la quale, a tre gra dini più in alto di lui, gli appariva come sopra un piedestallo. Il sole di autunno stendeva dalla cima al fondo della gradinata un velo tramato d'oro; tre monache scendevano bisbigliando preci, e un vecchio curvo, dalla bianca chioma fluente e scapigliata, immergeva faticosamente la zappa nella terra, per ivi scavare una fossa. Tra la gio condità del cielo e l'austera melanconia delle pietre sepolcrali, la gentile persona di Flora ri maneva come isolata all'occhio attonito di Germano.

Egli non l'aveva veduta mai così bella, mai, nemmeno in quel mattino di estate, durante l'opera della mietitura; nemmeno in quel pomeriggio di autunno, quando gli era apparsa nella candida veste di convalescente ed egli aveva pianto nelle sue mani.

Anche Flora si ricordò in quel momento di quelle lacrime, e ciascuno di essi sapeva ciò che l'altro pensava, e senza volerlo, dipanavano il filo del passato, e il filo del passato si svolgeva sot tile e tenace ad arretirli.

Dopo molti giri fra il meandro dei viottoli, so starono presso un piccolo monumento adorno di un medaglione, raffigurante una donna fiorente di venustà giovanile.