Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/311

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dietro la testa, pendenti e inerti le mani, rima neva assorta, come vinta dall'estasi, egli si sentiva annichilito di amore e s'inginocchiava per adorarla.

Le diceva, pieno di spavento: — Dove hai imparato questo? Chi ti ha inse gnato a diventare più bella ogni minuto? — Tu — ella rispondeva a fior di labbra, te nendosi immota per paura di rompere il divino incantesimo. Dopo quegli appuntamenti Germano provava un senso confuso di paura; sentiva che Flora lo trascinava per un paese a lui ignoto, dov'egli cam minava bendato, senza nulla distinguere. Il profumo di fiori strani, forse velenosi, lo strin geva alla gola; sentiva ventarsi intorno grandi ali, forse candide come neve, forse brune come la notte; attraverso la benda discerneva il solco di accesi bagliori e dal tremito della mano febbricitante che Io guidava, egli intuiva quanto mera viglioso dovesse essere il paese, nel quale vagava alla cieca. Ma Germano camminava per entro un'atmo sfera non sua, e il respiro gli veniva meno, e il timore dell'ignoto lo avrebbe spinto a fuggire, se la piccola mano febbricitante non lo avesse tra sportato sempre più lontano, sempre più in alto. — Tu non puoi capire in che modo io ti amo. Ella gli diceva — No, tu non capisci; non puoi capire — ripeteva con accento di ramma rico desolato. Ed egli non capiva infatti, non poteva capire, sopratutto quando Flora si lamentava acerbamente di suo marito con parole di esaltata disperazione. — Mio marito mi rende infelice, infelice tanto, che spesse volte ho pensato al suicidio.