Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/314

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Sopra la piccola scrivania, davanti a cui Flora sedette, stava un ritratto in platino della contessa, eseguito recentemente e chiuso in una cornice di metallo bianco.

Adriana aveva adesso le forme opulente di una matrona e l'eleganza sua, tuttavia inappuntabile, era diventata austera. La veste di velluto scuro, a lungo strascico, era stretta al collo ed ai polsi; i capelli divisi sulla fronte, scendevano ondulati in doppia lista a secondar l'ovale delle gote, dando al viso l'espressione dolcemente placida di una donna, che, varcata la cinquantina e deposta ogni velleità di civetteria, riesca ancora a piacere per la franca bonomia della sua rinunzia.

Dal lato opposto della scrivania un altro ri tratto di eguale formato, chiuso entro una cor nice di eguale disegno, rappresentava il Frezzati in alta tenuta di colonnello.

Flora sospirò. Sua madre era felice, ed ella invece si sentiva In morte nell'anima.

Tolse dalla cartella di cuoio rosso un foglio color avorio a delicati rabeschi, e scrisse a Ger mano una lettera che aveva fremiti di rivolta e accenti strazianti di preghiera:

«Tu sei fuggito, senza accordarmi nemmeno l'elemosina di un ultimo bacio e io ho diritto di odiarti. Non cercarmi più. Ti fuggirò aneli' io» e due righe dopo lo invocava cogli appellativi più appassionati, supplicandolo di scriverle, per chè solo dalle sue lettere avrebbe attinto la forza di vivere.

Si avviò a casa lentamente, per assaporare, cam minando sotto la pioggia, la voluttà del suo dolore.

Varcando il ponte Margherita, si fermò a guar dare il Tevere, gonfiato dalle acque autunnali.