Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/48

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istintivamente di un passo, come se gli sportelli di una serra si fossero spalancati davanti a lei e l’effluvio di mille rose le salisse al cervello, dan dole un senso di vertigine.

— Io debbo vestire di nero — ella rispose, e le labbra tremarono, e Germano vide le palpebre di lei battere forte, quasi per sofferenza di luce troppo fulgida.

— Poverina — egli mormorò sinceramente commosso — scusi, sono stato sciocco — pro seguì, lottando per trattenere le parole impetuose di passione che gli salivano dal cuore, simili a onde di lava incandescente.

Flora senti, forse, il bruciore di quelle parole non pronunciate, perchè, giungendo le palme in atto supplice, disse con voce implorante grazia:

— Mi lasci andare; per carità mi lasci an dare.

Egli più tremante e smarrito di lei, travagliato dal desiderio e reso timido da un sentimento immacolato al pari della neve che serviva loro di piedestallo, avrebbe voluto addentarla come un frutto succoso e adorarla come una madonna, annichilirsi a’ suoi piedi e annichilirla nella stretta frenetica delle sue braccia.

— Mi lasci andare, oh! mi lasci andare — implorava Flora con senso d’ineffabile stanchezza nella voce e nel gesto.

— Perchè, Flora? Perchè? — egli domandava affannoso, avendo cura di non isfiorarle nemmeno il lembo della veste, poichè sentiva che al me nomo contatto la volontà sarebbe rimasta travolta.

Anche Flora, coll’istinto che porta ogni vergine alla difesa, sentì che il momento era supremo.

Strappò la lanterna dalle mani di Germano,