Pagina:Tartufari - Roveto ardente, Roma, Roux, 1905.djvu/8

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più gigantesche, sempre più tetre? Perchè tendeva essa l'orecchio a seguire l'urlo del vento, che, dopo avere scosso i rami degli alberi rabbiosamente, s'insinuava, strisciando furtivo, tra le foglie del canneto?

Quale fantasma attendeva ella che scendesse verso lei dalle nubi o di quale canzone seguiva la eco in mezzo ai sibili del vento?

Flora non attendeva nulla, non ascoltava nulla. A lei bastava di sentirsi vivere.

Dalle regolari pulsazioni del cuore, dal misurato battito dei polsi, dall'ondeggiare pacato del sangue, dai nervi, che niente avevano ancora di sperso della loro energia, dai muscoli, agili per l'esistenza libera selvaggiamente, da tutt'i sensi, già vigili a succhiare il nèttare di ogni sensazione esteriore, ma non ancora indocili nè scomposti, veniva alla giovinetta un senso pieno ed armonico di benessere puramente fisico.

Un grido iroso e prolungato ruppe il silenzio e, giungendo dalla parte della casa bianca, si al largò sui campi, illanguidì presso la collina e si smorzò lento, a guisa di gemito.

Flora sollevò il capo vivamente e rabbrividì per istinto. Certo era il nonno, che si arrabbiava col babbo.

La supposizione la preoccupò e la trasse dal sogno alla realtà di un'esistenza punto lieta.

Il nonno era così impetuoso, così imperioso, mentre il babbo era così umile, così triste e buono! Un lampo di tenerezza brillò negli occhi della giovanetta al pensiero di suo padre, ed ella ripercorse, a ritroso, il sentiero della propria infanzia, ancora tanto vicina, su cui l'affetto paterno aveva brillato come unico raggio.