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10 IL TORRISMONDO

Ch’a me stessa non è. Bramo, e pavento,
Nol nego: ma so ben quel ch’i’ desio;
Quel che tema, io non so. Temo ombre, e sogni,
Ed antichi prodigj, e nuovi mostri,
Promesse antiche, e nuove , anzi minacce
Di Fortuna, del ciel, del Fato avverso,
Di stelle congiurate: e temo, ahi lassa!
Un non so che d’infausto, o pur d’orrendo,
Ch’a me confonde un mio pensier dolente,
Lo qual mi sveglia, e mi perturba, e m’ange
La notte, e’l giorno. Oimè, giammai non chiudo
Queste luci già stanche in breve sonno,
Ch’a me forme d’orrore, e di spavento
Il sogno non presenti. Ed or mi sembra
Che dal fianco mi sia rapito a forza
Il caro sposo, e senza lui solinga
Gir per via lunga e tenebrosa errando,
Or le mura stillar, sudare i marmi
Miro, o credo mirar, di negro sangue;
Or dalle tombe antiche, ove sepolte
L’alte Regine fur di questo regno,
Uscir gran simulacro, e gran rimbombo,
Quasi d’un gran gigante, il qual rivolga
Incontra al Cielo Olimpo, e Pelio ed Ossa,
E mi scacci dal letto, e mi dimostri,
Perch’io poi fugga da sanguigna sferza,
Un’orrida spelonca, e dietro il varco
Poscia mi chiuda: onde, s’io temo il sonno,
E la quiete, anzi l’orribil guerra
De’ notturni fantasmi all’aria fosca,
Sorgendo spesso ad incontrar l’aurora, .
Meraviglia non è, cara nutrice.
Lassa me! simil sono a quella inferma,